Ma chi me lo fa fare? 1. Perchè bisogna lavorare?

Perchè bisogna lavorare?

I passi che seguono sono tratti dall’introduzione del volume Ma chi me lo fa fare? di Andrea Colamedici e Maura Gancitano. I grassetti non sono dell’edizione originale.

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Perchè bisogna per forza lavorare? (…) Perchè lavorare deve significare necessariamente soffrire? Quando abbiamo cominciato a cedere gran parte della vita per poi essere troppo stanchi per godercene i frutti? Come facciamo ad accettare così tranquillamente che esista una mostruosa disparità economica nel mondo, che costringe alcune persone a dover faticare centinaia di ore al mese per stipendi da fame mentre altre possiedono patrimoni letteralmente inconcepibili? (…)

La sensazione bruciante era che, mai come nel nostro periodo storico, in tanti avessimo rinunciato a cercare una risposta. Che, alla fine, ci fossimo dati tutti per vinti e avessimo accettato l’ingiustizia radicale e la sofferenza come cardini dell’esistenza umana. (…)

Osservare in che modo abbiamo trasformato un potenziale strumento di liberazione nella più sottile e pervicace forma di schiavitù mai apparsa sulla terra. (…)

Ma più che elaborare strategie conniventi per sopravvivere a una vita lavorativa disumana, rubando ancora più tempo a noi stessi, bisognerebbe mettere seriamente in discussione quei ritmi e ciò da cui nascono, cioè il concetto di lavoro. Per quello che è diventato oggi, cioè il suo valore, ma anche per quello che è sempre stato.
Che il lavoro sia un valore in sè, infatti, è una forma di superstizione moderna, molto più recente di quanto pensiamo e strettamente legata alla società di mercato. E’ una storia a cui abbiamo creduto e che sembra assurdo mettere in dubbio, (…), una bugia utile prevalentemente a chi si appropria della fatica altrui.
Perchè non tutti i lavori sono in grado di liberare o nobilitare l’umano. (…)

Solo svegliandoci dall’incubo che ci vuole sempre più imprenditori di noi stessi, e quindi doppiamente schiavi, potremo liberarci dei padroni e mettere il lavoro al suo posto: che non deve essere il vertice delle nostre vite esauste. (…)

Se oggi c’è così tanta stanchezza in giro è perchè molte persone sanno di aver dato tutto – in primis gli spazi domestici – in pasto al lavoro e di non avere più un luogo nè un tempo per rigenerarsi.
Per molti lavorare significa cedere gran parte delle giornate in cambio di un salario di sopravvivenza, e la mancanza di senso della vita si è fatta ormai troppo palese. (…) il lavoro rimane una necessità per sopravvivere. Non si può smettere di lavorare, nonostante tutto. Eppure, la sensazione di essere spremuti, sviliti, divorati dal lavoro e dalla società sta spingendo sempre più persone a meditare le dimissioni, pur non avendo prospettive migliori o semplicemente un piano B. (…)

In tanti, insomma, non sopportano più il modo disumano con cui abbiamo declinato il lavoro nel mondo contemporaneo. Una società del lavoro che rende schiavi e non lascia spazio alla vita, non offre paghe dignitose, ne valori condivisi e tempo per la propria fioritura.
Società del lavoro, ma anche cultura della fretta come l’ha definita Zygmunt Bauman (…) Non si ha il tempo di elaborare la mole sterminata di impulsi ricevuti quotidianamente. (…)
Le settimane lavorative si fanno sempre più piene e i social network finiscono con il bloccare ancora di più lo scarico delle giornate.
Per molti, a tutto questo si somma la precarietà, che rende impossibile sviluppare un attaccamento al lavoro e instaurare rapporti duraturi con i colleghi. (…) e ci si isola ancora di più.

Un burnout di massa che pone tutti di fronte ad un bivio: continuare a lavorare come se niente fosse, lasciandosi masticare a oltranza, o ripensare il ruolo, lo spazio e il senso del lavoro nelle nostre vite, senza fretta.
Il lavoro è diventato incontrollabile e inesorabile, un flusso perenne che impedisce la quiete e il respiro. Cominciare con il dirselo, con il vederlo, è un modo per accorgersi di quanto tutto questo sia inaccettabile e disumano. E quanto si possa e si debba, cambiare.

Qui alcuni dei più significativi estratti del primo capitolo del libro.