Una politica della speranza contro la paura

Una politica della speranza contro la paura

Uno Scurati davvero ispirato è riuscito a sintetizzare, in un articolo molto bello uscito su Repubblica il 10 Marzo, la differenza fondamentale che caratterizza il pensiero di sinistra da quello di destra. O meglio, per usare le sue categorie, il pensiero progressista da quello reazionario.

Non hai tempo o voglia di leggere? Ascolta il testo!

L’autore della monumentale tetralogia dedicata a Benito Mussolini è riuscito a mettere con forza l’accento sul fatto che, fin dalle origini, essere di sinistra ha significato offrire una speranza di cambiamento alle persone. Un cambiamento positivo, un miglioramento delle condizioni e dell’esistenza.
Sono assolutamente convinto che questo sia un punto fondamentale che manca oggi nelle proposte dei diversi partiti e movimenti che arrivano dalla gloriosa tradizione novecentesca di sinistra. Saper offrire alla gran parte delle persone, in particolare ai giovani, prospettive di miglioramento. Miglioramento sociale e esistenziale; pratico e concreto ma anche ideale.

La realtà degli ultimi anni è all’insegna di una sinistra che, al contrario, gioca sempre e solo in difesa. A difesa di diritti sacrosanti che è sacrosanto difendere. Ma non bisogna essere per forza dei tifosi per sapere che giocando sempre in difesa, e mai d’attacco, magari per una partita “si tiene”, ma alla lunga, prima o poi, si perde.

E’ tempo di invertire la rotta.

Cantare “Bella Ciao” perché c’è l’invasore, va bene per un po’, ma dopo qualche decennio, è ora di tornare a cantare canzoni di riscossa e non di pianto.
Chi fa politica sentendo come propri i valori della sinistra e l’idea del progresso deve ritrovare il coraggio e la fiducia nel futuro (stavo per scrivere “nell’avvenire”, ma suonava davvero old style, ma quello è il concetto). La sfida è tornare a credere che si possano offrire proposte concrete e sogni di cambiamento e miglioramento alle persone.

Bisogna buttare alle ortiche il mantra del “non si può fare, perché non ci sono i soldi”. Sono certo che quando i primi idealisti hanno proposto l’idea della scuola e della sanità pubblica, i difensori dell’ordine costituito abbiano gridato all’impossibilità e abbiano riso di idee così strampalate.
Sono certo che quando i primi coraggiosi hanno proposto per la prima volta l’idea delle ferie pagate per i lavoratori, le settimane lavorative di 5 giorni e le giornate di 8 ore, si sia gridato all’utopia, all’impossibilità, alla minaccia dello sfascio dei conti pubblici. E non era vero.
E’ una questione di risorse, di priorità, di scelte.
Ci penso sempre quando sento che siamo costretti a lavorare fino alla vecchiaia perché “il sistema non regge”. Il sistema non regge perché le risorse sono mal distribuite e pochi hanno tantissimo e molti hanno pochissimo.

Generazioni e generazioni di persone hanno lottato fino ad ottenere i diritti di cui oggi godiamo e che sono in crisi. Difendiamo le conquiste ma, senza paura, torniamo a immaginare e a sognare un mondo migliore. Come dice Scurati “offrire una politica della speranza contro le politiche della paura della destra”. Insomma, essere dalla parte dell’innato desiderio degli esseri umani di guardare al domani con ottimismo. Puntiamo alto. Se non proprio ad essere felici, almeno a stare meglio di oggi.
Noi, e chi verrà dopo di noi.

Ecco i principali passaggi dell’articolo di Antonio Scurati.

1

Probabilmente le categorie novecentesche di destra e sinistra sono oggi superate ma non lo è la antitesi tra progressisti e reazionari. E se, tornando all’essenziale, dovessimo individuare la differenza fondamentale tra di essi, essa sarebbe proprio questa: i reazionari fanno una politica della paura, i progressisti una politica della speranza. I reazionari (oggi rappresentati dalle destre sovraniste) conquistano consensi alimentando la paura (a sua volta una potentissima passione politica), dipingendo il futuro come un brutto posto, esasperando le minacce di un mondo grande e terribile, farneticando di ritorni a un passato mitizzato (la Russia imperiale di Putin, l’America “great again” di Trump, le nostalgie fascistoidi nostrane); prima inoculano nell’elettore il tremore della preda (“li vedi, li senti, stanno arrivando, ti porteranno via tutto, noi alzeremo muri per impedirlo”) e poi aizzandolo a divenire predatore (“non devi limitarti ad averne paura, devi odiarli, devi aggredirli”). Non c’è in questa politica nessuna attesa fiduciosa dell’avvenire, è una politica senza promessa.

2

L’immigrazione — promessa e minaccia al tempo stesso — viene presentata esclusivamente nella sua faccia minacciosa. L’emergenza ecologica viene minimizzata e subordinata alla tutela di interessi economici precostituiti. Il negazionismo climatico (un autentico crimine politico), infatti, non smentisce ma conferma la antitesi paura-speranza: i negazionisti non dicono “non abbiate paura, non c’è vero pericolo”, dicono “non c’è niente da fare, non è possibile deviare collettivamente il corso della modernità, non guardate al futuro, vivacchiate individualmente nel presente e, se vi conforta, ripiegate su un passato immaginario”. Questo cinismo disgraziato è l’esatta antitesi della speranza progressista.

3

Da due secoli a questa parte il progressista rinnova, invece, la sua promessa: la vita dei tuoi figli sarà migliore della tua, e quella dei tuoi nipoti migliore della vita dei tuoi figli; se tutti insieme ci solleveremo all’altezza delle nostre speranze, il futuro riscatterà le ingiustizie, le sofferenze, le delusioni del presente. Una promessa, non a caso, rivolta innanzitutto agli ultimi, in senso sociale e generazionale, ai deboli, agli sfruttati, ai poveri, agli esclusi, alle donne, ai giovani. A tutti coloro i quali avevano, e hanno, ottime ragioni per invocare il futuro, ripudiare il passato e opporre un no ai giorni del presente. La crisi epocale delle sinistre novecentesche è tutta qui. Il problema non è che la promessa non sia stata mantenuta. Il problema è che non è stata rinnovata.

4

Fare una politica della speranza non è affatto facile. Al contrario, è difficilissimo. Suscitare euforia, energia rinnovatrice, fiducioso slancio verso l’avvenire è molto più difficile che soffiare sulle passioni tristi della paura, del rancore, del senso di abbandono. La paura si prepara al peggio, la speranza si affida al meglio. Il linguaggio ce lo ricorda, ogni giorno: “Speriamo bene”. Quante volte lo abbiamo ripetuto, magari senza troppa convinzione? Ma dobbiamo continuare a farlo perché il verbo sperare si coniuga obbligatoriamente con il bene.

Ti potrebbe interessare anche: Dopo l’ubriacatura neoliberista siamo in hangover – no alternative