In un interessante articolo sul concetto di vergogna e sul ruolo che questo stato emotivo svolge nella società, la scrittrice Letizia Pezzali (di cui abbiamo già parlato qui sul tema invidia e paura) fa alcuni originali riferimenti alla povertà.
Rimando all’articolo integrale per acute osservazioni sulla vergogna politica (ormai decaduta, si può essere anche nazisti senza vergogna), e su quella legata al proprio corpo (col suo corollario di business delle diete, cliniche e chi più ne ha, ne metta).
Isolati e sfruttati
La premessa da cui partire è che “la vergogna è un’esperienza che ci isola, che ci separa dal resto della società. Una volta isolati, soli, siamo pronti per essere sfruttati dalla macchina”.
La povertà come fonte di vergogna apparentemente ha poco a che fare con quella sull’aspetto fisico: “Chi è povero non può certo comprare prodotti per non esserlo; dunque, non può essere parte di un sistema di profitto”.
Pezzali spiega che in questo caso “in realtà, la vergogna opera come meccanismo di preservazione del sistema nelle sue forme più becere”.
Come? “Se la povertà è fonte di vergogna, le persone povere difficilmente troveranno la forza di ribellarsi” – spiega – E si continuerà a trarre profitto dalla loro debolezza”.
E qual è il meccanismo psicologico su cui giocare? “La società potrà disinteressarsi dei problemi dei poveri se riesce a dimostrare che i poveri sono artefici del loro destino. Perché non ti sei impegnato di più per uscire dalla tua condizione?”.
Più paure che desideri
E’ un meccanismo molto evidente effettivamente e, come spiega l’autrice, funziona anche molto bene: “Le aziende e le infrastrutture sociali ci convincono di avere il potere di perfezionare le nostre vite, solo per incolparci quando le loro soluzioni falliscono“.
Un tempo era molto “iuessei”, ma oggi questi concetti hanno permeato anche la nostra società: “Non sei capace. La colpa, la forza di volontà, il sacrificio. Il tuo fallimento”
In conclusione “Oggi più che mai le persone hanno paura di perdere quel che hanno. Forse hanno più paure che desideri. In assenza di un cambiamento culturale, l’umiliazione prospererà sempre di più in maniera discutibile, producendo nuove mortificazioni e forme di sorveglianza”.