Protestare contro chi? Ribellarsi contro chi? Contro noi stessi? Noi, responsabili del nostro stato, della nostra solitudine, dei nostri insuccessi. È amara e senza prospettive positive, l’analisi di Byung-Chul Han. Non c’è più una chiara controparte contro cui scagliarsi, un potere contro cui lottare.
Il suo pensiero sull’attuale fase è lucido e convincente. Anche a distanza di una decina d’anni dalla su prima pubblicazione, la sua riflessione sulle ragioni per le quali oggi una rivoluzione sia impossibile – o un semplice ribellione di massa – resta valida.
E tuttavia, da qualche tempo alcuni segnali di un’inversione di rotta sono sempre più evidenti. Sono sempre più diffusi esempi singoli e collettivi di rifiuto del sistema seduttivo neoliberista. I tempi sono, e saranno, lunghi. Probabilmente, molto lunghi. Ma le cose cambieranno. E su noalternative teniamo le antenne accese e continueremo a dare visibilità ai segnali di cambiamento.
Nel frattempo, vale la pena continuare a “riflettere sulle riflessioni” di Byung-Chul Han.
Ecco alcuni passi tratti dall’articolo “Perché oggi non è possibile una rivoluzione” di Byung-Chul Han apparso nel 2014 sulla Suddeutsche Zeitung del 3 settembre 2014. In Italia la versione integrale è disponibile sul libro omonimo, che raccoglie anche altri saggi dell’autore, edizione nottetempo 2019.
Ne parliamo anche qui nella nostra mini bibliografia
Come mai il sistema di dominio neoliberista è così stabile? Come mai ci sono così pochi fenomeni di resistenza? Come mai oggi non è più possibile una rivoluzione nonostante la forbice tra i poveri e i ricchi diventi sempre più grande? (…)
Il potere stabilizzante della società disciplinare e di quella industriale era repressivo. Gli operai delle fabbriche venivano sfruttati senza pietà dai padroni e lo sfruttamento brutale condusse a proteste e resistenze. Allora sì che era possibile una rivoluzione capace di rovesciare i rapporti di produzione vigenti. In quel sistema repressivo erano visibili sia l’oppressione, sia gli oppressori. Esisteva una controparte concreta, un avversario visibile cui opporre resistenza.
Un potere seduttivo
Il sistema di dominio neoliberista è strutturato in maniera profondamente diversa. Il potere stabilizzante non è più repressivo, bensì seduttivo, e non è più così visibile come sotto il regime disciplinare. Non c’è una controparte evidente, non c’è un nemico che opprime la libertà e contro cui sarebbe possibile opporre resistenza. (…)
Il neoliberismo ha modellato, a partire dall’operaio oppresso, un libero imprenditore, un imprenditore di se stesso. Oggi ciascuno è un operaio che si sfrutta da solo, un dipendente di se stesso. Ciascuno è al contempo servo e padrone, per cui la lotta di classe si è trasformata in una lotta interiore. Chi oggi fallisce si dà la colpa e si vergogna: individuiamo il problema in noi stessi, piuttosto che nella società. (…)
Il potere disciplinare che costringe le persone in comandamenti e divieti è, a ben vedere, inefficiente. Molto più efficace invece la tecnica di potere che fa sì che le persone si sottomettano volontariamente. Il potere qui non funziona mediante divieti e restrizioni, bensì facendo leva sul piacere e sulla soddisfazione dei desideri. (…)
Protestare contro cosa? contro se stessi? (…)
Il potere che salvaguarda il sistema assume oggi una forma affabile, “smart”, rendendosi invisibile e inattaccabile. Il soggetto sottomesso non sa nemmeno di esserlo, e anzi crede di essere libero. Questa tecnica di dominio neutralizza la resistenza in maniera efficacissima. Il regime neoliberista è stabile proprio perché si immunizza contro qualsiasi resistenza e usa la libertà invece di opprimerla. L’oppressione della libertà suscita resistenza, lo sfruttamento della libertà no. (…)
Oggi non si registrano quasi forme di resistenza, anzi dilagano conformismo e consenso uniti a depressione e burnout. L’aggressione verso l’esterno cede il passo all’aggressione verso se stessi.
Nell’epoca odierna non esiste una moltitudine collaborativa e interconnessa in grado di elevarsi a protesta globale, a massa dedita alla rivoluzione. È piuttosto la solitudine a caratterizzare l’attuale regime produttivo di isolati imprenditori di se stessi. A suo tempo gli imprenditori erano in concorrenza gli uni con gli altri, mentre all’interno dell’azienda era possibile la solidarietà. Oggi la concorrenza è ovunque. (…)
La concorrenza universale aumenta senza dubbio la produttività, ma distrugge la solidarietà e il senso di comunità giacché non può nascere una massa dedita alla rivoluzione mettendo insieme individui esausti, depressi e isolati.