Continuano a fornire spunti di riflessione le analisi di Enzo Risso per il quotidiano Domani, con numeri concreti a supporto delle tesi. Dall’articolo Noia, stress e malessere: Gli italiani e il ritorno dell’alienazione al lavoro della sua rubrica settimanale Il Canocchiale del 28 dicembre 2024, riprendo i passi più significativi e rimando al link per la versione completa del pezzo.
Partiamo dalla sequenza di dati per poi passare alle conclusioni dell’autore.
Numeri a volontà
Il 33% degli italiani ritiene il proprio lavoro noioso, stressante, un peso o una fonte di malessere.
Il 58% dei ceti popolari non trova interessante la propria occupazione.
Il 31% (52% nei ceti popolari) denuncia gravi difficoltà a mantenere in equilibrio lavoro e vita familiare.
Per il 51% l’azienda in cui lavora offre poche opportunità di crescita professionale.
Il 24% denuncia relazioni difficili con i capi.
Per il 48% la precarizzazione del lavoro è tra i principali fattori generatori di incertezza e instabilità .
Per il 54% la mancanza di lavoro per i giovani mina le basi della nostra società.
Il 42% degli italiani (58% nei ceti popolari e 47% tra le donne) afferma che nella maggior parte dei giorni non prova alcun senso di realizzazione in quello che fa.
Il 38% ritiene inadeguato lo stipendio percepito.
Il 56% (86% nei ceti popolari) afferma di non avere abbastanza soldi per comprare ciò che desidera.
Le paure dei giovani
essere sfruttati 40%
non avere più tempo per se stessi 28%
gli orari 24%
non avere tutele 24%
essere poco apprezzati 23%
avere responsabili che hanno meno preparazione di loro 23%;
diventare un numero 22%
incappare in un capo autoritario 15%.
L’interpretazione di Risso
L’autore segnala “una frattura delle aspettative” e a supporto cita:
1 “L’erosione del contratto psicologico, come lo definisce la psicologa statunitense Denise Rousseau, ossia “una frattura delle aspettative non scritte tra lavoratore e datore di lavoro, di cui troviamo traccia nella mancanza di opportunità di crescita e nella paura di essere solo un numero.
2 La precarizzazione esistenziale segnalando che “oltre alla provvisorietà contrattuale, emerge una dimensione più profonda che tocca l’essenza stessa delle persone: la precarizzazione del lavoro crea un senso pervasivo di insicurezza ontologica”.
3 La colonizzazione del tempo-vita. “Il tempo – spiega Risso – anziché essere un dominio di libertà personale, viene sempre più “colonizzato” dalle logiche del lavoro” come testimoniato dalle preoccupazioni di non avere più tempo per se stessi e le altre risposte che fanno riferimento alle difficoltà di equilibrio vita-lavoro.
“4 Una alienazione multidimensionale generata dal lavoro e dall’intero processo di costruzione dell’identità attraverso il lavoro” che riguarda le forme di alienazione relazionale manifestate nelle risposte che fanno riferimento alla mancanza di apprezzamento e alle relazioni difficili con i capi.
5 La dissonanza valoriale, definita dall’autore come “la crescente discrepanza tra i valori personali dei lavoratori e quelli percepiti nell’organizzazione in cui operano”. E che si traduce per molte persone in un’esperienza d’ingiustizia.
Alla base della crisi
Risso segnala quali sono oggi i fattori che “determinano la tensione tra i bisogni di autonomia, competenza, relazionalità dell’individuo e lavoro”:
tensione tra ciò che le persone sperano di ottenere dal lavoro e ciò che vivono;
discrepanza tra identità personale e il ruolo professionale;
difficoltà a integrare l’immagine di sé con le dinamiche lavorative;
accelerazione sociale e individualizzazione radicale, ma anche forme di ingiustizia.
La conclusione è senza appello: “Se la massimizzazione del profitto e dei dividendi è la regola, l’alienazione è il risultato. La crisi della relazione con il lavoro è il frutto dei modelli aziendali e delle logiche produttive, non della scarsa voglia di lavorare delle persone”.