Quelli che seguono sono solo alcuni estratti dell’articolo di Byung-Chul Han, del 2016, dal titolo “Lo sfruttamento totale dell’essere umano”, pubblicato nel volume Perché oggi non è possibile una rivoluzione, edizione nottetempo 2019.
Il Customer Lifetime Value indica il valore rappresentato da un essere umano per un’azienda nel corso della sua intera vita di cliente. Alla base di questo concetto vi è l’intenzione di convertire la persona, e la sua esistenza, in termini di mercato.
L’odierno ipercapitalismo disgrega l’intera esistenza umana in una rete di rapporti commerciali. Ormai non esistono ambiti estranei alla mercificazione.
È proprio la crescente digitalizzazione della società a facilitare, amplificare e accelerare lo sfruttamento commerciale della vita umana. Essa subordina all’economia ambiti vitali fino a poco tempo fa svincolati dal suo influsso. È quindi indispensabile creare nuovi spazi, nuovi modi di vivere che si oppongano al totale sfruttamento mercantile della vita umana.
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Le aziende che agiscono a livello global raccolgono dai sui nostri comportamenti di consumo, lo stato civile, la professione, le preferenze, gli hobby, la situazione abitativa ed economica.
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Una sorveglianza totale
Big Data rende possibile qualsiasi pronostico circa il comportamento umano. (…) Si rivela perciò uno strumento psicopolitico molto efficiente (…): genera un sapere dominante che permette di far breccia nella psiche umana e influenzarla senza che i diretti interessati se ne accorgano. La psicopolitica digitale degrada la persona a oggetto quantificabile e influenzabile e, così facendo, Big Data annuncia la fine del libero arbitrio.
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L’interconnessione digitale rende possibile l’assoluta trasparenza, e l’assoluta quotazione, di una persona. Alla luce del pericolo rappresentato dalla raccolta dei nostri dati personali, oggi dalla politica ci si aspetta che limiti considerevolmente questa pratica.
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La valutazione economica di una persona contrasta con l’idea stessa di dignità umana. Nessuno merita di essere degradato a oggetto da sottoporre a un calcolo algoritmico.
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La libertà, da part sua, implica un determinato rischio, e una società che in nome della sicurezza subordina tutto al controllo e alla sorveglianza precipita nel totalitarismo.
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Oggi sono più che mai indispensabili nuovi approcci di pensiero per contrastare il totalitarismo dei dati. Bisognerebbe riflettere sulla concreta possibilità tecnica di assegnare ai dati personali un limite quantitativo e una scadenza, affinché si cancellino in automatico dopo un po’.
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La Carta dei Diritti Digitali, tuttavia non basterà di per sé a impedire il totalitarismo dei dati. Bisognerà attuare anche un cambio di mentalità, di coscienza.
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Nel panottico digitale non siamo solo prigionieri, bensì attivamente carnefici. Contribuiamo in prima persona alla creazione. (…) Lo alimentiamo denudandoci, (…) e caricando volontariamente in rete tutti i dati relativi ai nostri corpi. Il nuovo dominio non ci impone il silenzio, anzi ci stimola costantemente a condividere, partecipare, a esternare.
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Oggi ci denudiamo di proposito, senza pressioni di sorta, senza alcuna ordinanza. Carichiamo volontariamente in rete qualsiasi tipo di dati e informazioni sul nostro conto, senza sapere chi li capterà, cosa ne farà, quando e perché.
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Oggi non siamo semplicemente vittime di una sorveglianza statale, bensì elementi attivi del sistema. Rinunciamo di proposito agli spazi protettivi e ci esponiamo a reti digitali che ci passano ai raggi X.
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È di nuovo tempo di organizzare a livello collettivo una forma di resistenza contro l’imminente totalitarismo digitale.