I numeri di Bankitalia sulle disuguaglianze di ricchezza nel nostro Paese meritano qualche breve riflessione.
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Questo unico ordine possibile, la società immutabile in cui viviamo, è un mondo dominato da enormi disparità economiche. Una società in cui il 5% più ricco detiene il 46% della ricchezza e il 50% più povero detiene l’8% del totale, è un regime economico ingiusto che vive sulle disuguaglianze estreme e autorizza ad usare parole adeguate: “enormi”, “estreme”, “ingiusta”.
Le disparità sono andate via via crescendo negli ultimi decenni. Da quando abbiamo fatto nostro il mantra che questa è l’unica società possibile, e abbiamo rigettato ogni idea di “lotta” o “contrasto” o “tensione” verso un mondo più giusto, questo nostro mondo è diventato più diseguale.
Diamo tutti per scontato che lo stato di cose attuale sia una realtà immutabile e che non esistano alternative. A partire dalla rivoluzione francese, abbiamo ormai alle spalle secoli di battaglie per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Fino a qualche decennio fa, l’attuale disparità di ricchezza tra poveri e abbienti avrebbe suscitato rabbia e una diffusa indignazione. E a contestare un tale stato di cose non sarebbero stati solo comunisti e socialisti, ma anche moltissimi che si riconoscono in altre correnti di pensiero più “moderate”, come cattolici e liberali consapevoli che un sistema che produce queste diseguaglianze deve essere regolato e non funziona se lasciato a se stesso.
Il migliore dei mondi possibile contro l’impero del male
L’impressione è che coloro che detengono oggi potere&ricchezza, i fautori dell’ordine costituito, siano riusciti in un capolavoro: approfittare del crollo dei regimi dell’est Europa per far passare l’idea che quella fosse l’unica alternativa alla società attuale. Una scelta limitata: la nostra attuale libertà nel sistema capitalistico neoliberista oppure un regime dittatoriale con un’ideologia pseudo egualitaria che escluda democrazia e merito, privando del benessere chi oggi lo possiede (a torto o a ragione).
Credere che la società capitalistica sia il migliore dei mondi possibili a prescindere, e non il miglior sistema finora ideato, e che la cosa migliore sia di lasciare che le forze del mercato operino liberamente con il minor numero di interventi di regolazione possibile, sono diventati i due principali capisaldi di una fede irrazionale, che ha sostituito le vecchie religioni.
I dati sulle grandi disuguaglianze nel mondo occidentale smontano la favola che ci hanno raccontato, ossia che vivremmo in una società che offre pari possibilità e uguali condizioni per tutti. Anche i racconti mitologici della sinistra moderata degli ultimi decenni secondo cui tutti, con impegno e dedizione, pur partendo dal basso possono arrivare dovunque, anche alla presidenza degli Stati Uniti. Peccato che per uno che ce la fa, pur partendo svantaggiato decine di metri dietro gli altri, ce ne sono infiniti altri che non ce la fanno. Ma perché qualcuno deve partire dietro altri in un’ipotetica linea di partenza? I numeri ci raccontano di un mondo ingiusto in cui il libero mercato crea una gara falsata.
Ricostruire un nuovo pensiero

Dopo decenni di ubriacatura è ora di tornare a guardare alle troppe ingiustizie che caratterizzano la nostra società, è ora di tornare a pensare in maniera positiva e con ottimismo ad un mondo meno ingiusto, un mondo meno diseguale, un mondo in cui la distribuzione della ricchezza sia diversa da quella attuale. Senza nascondersi la verità che, perché una cosa del genere avvenga, servono lotte, interventi, politiche, interessi potenti da toccare che non rinunceranno a tutto quello che hanno senza lottare. E serve ricostruire mattone dopo mattone un nuovo pensiero, una nuova filosofia, una nuova ideologia. Un lavoro lungo per tornare ad esercitare quell’egemonia culturale di cui parlava Gramsci.
Guai a chi tocca i ricchi!
Abbiamo tutti introiettato che la ricchezza non deve essere toccata, che le tasse sono un male anche per chi guadagna milioni. Senza accorgerci ci siamo tutti trasformati nei personaggi di “Ho visto un re” di Dario Fo, in cui si piange perché ad un re è stato tolto uno dei suoi 32 castelli, al vescovo una delle sue 32 abbazie e ad un ricco 3 case e un caseggiato delle sue 32 abitazioni.
E ora di cambiare il modo di pensare, tornare a pensare ad un mondo migliore. A desiderare con ottimismo e con il sorriso un mondo più giusto.