Parole da recuperare – 1 Patrimoniale

Parole da recuperare: 1 PATRIMONIALE

Negli ultimi anni se ne è parlato così tanto con accezioni negative che abbiamo tutti interiorizzato l’idea che la parola “patrimoniale” sia qualcosa di negativo. In un paradossale ribaltamento della realtà sembra essere finita a rappresentare una forma di ingiustizia.

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Se almeno la vulgata dominante la descrivesse come una mossa alla Robin Hood che “ruba” ai ricchi per dare ai poveri, si potrebbe ancora trovarci del fascino romantico. Invece no.
La patrimoniale è raccontata come un’astuta mossa di vetero comunisti. Persone invidiose della ricchezza altrui che attentano al benessere di chi con dura fatica e sudore ha guadagnato quanto gli spettava di diritto.

Ma è davvero così?

Nulla di più falso. Al contrario di quanto racconta la propaganda della destra che la presenta come un’idea della sinistra tassatrice che vuole colpire indiscriminatamente tutti i possessori di beni e proprietà, la patrimoniale – come dice il nome – è una misura pensata per colpire solo i grandi patrimoni. Esclude la quasi totalità delle persone.

Come ha ben spiegato l’economista Emanuele Felice su Domani,  una tassa patrimoniale dovrebbe concentrarsi su chi ha più di 150mila euro sul conto corrente o in titoli. E solo su di loro. Per dare un’idea, il 77% degli italiani ha sul conto corrente meno di 12.500 euro, un decimo meno di quella soglia.
L’economista calcola che la ricchezza finanziaria del 5% più ricco superi i 3mila miliardi. Una patrimoniale con una quota dell’1% darebbe un gettito di 30 miliardi allo Stato, colpendo pochissimo le ricchezze di questa minoranza che come spiegato da Bankitalia possiede ben il 46% della ricchezza complessiva di tutti gli italiani.  

Un buon utilizzo collettivo

Soldi che potrebbe essere utilizzati per sanità e scuola, ricerca, opere pubbliche, a vantaggio della collettività. Al contrario, un’ideologia costruita a vantaggio della piccola parte ricca della popolazione, che è riuscita a conquistare l’egemonia culturale e a imporsi come “senso comune”, ha trasformato questa parola legata ad una misura di sano riequilibrio, in qualcosa di negativo.

E’ davvero triste che i nuovi imbonitori populisti riescano a far credere al ceto medio e a che a chi sta peggio che una misura a loro vantaggio sia in realtà una cosa per loro dannosa. Altrettanto negativo che a sinistra si sia così incapaci di comunicare che non si riesca a far passare un messaggio così semplice. Tassare un po’ i più ricchi per il benessere di tutti.

E a sinistra…

Difficile non vedere in tutto questo anche le conseguenze del fatto che una parte importante della sinistra (la gran parte?) non senta questa esigenza. Anzi, addirittura spesso si accoda al mantra contro le tasse fino al punto di far proprie aberrazioni lessicali come quella di “Non mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Brividi. Per non parlare dei giornalisti televisivi che passano per essere di sinistra ma dei temi sociali non parlano mai.

Comunque, per tornare al problema lessicale inziale, se ormai la parola è bruciata, poco male, basta cambiare nome. Usando un po’ di intelligenza e furbizia che a destra abbondano, ma a sinistra troppo spesso sono guardate con altezzoso fastidio, potremmo fare come hanno fatto i francesi che la loro la chiamano “Impôt de solidarité sur la fortune (ISF)” che suona proprio bene. Una imposta di solidarietà sulla ricchezza.

E chiamarla fortuna non sarebbe sbagliato.