Estrapolo a mio assai discutibile giudizio alcune frasi e concetti tratti dal primo capitolo del volume di Francesca Coin, Le grandi dimissioni di cui parliamo qui nella nostra mini bibliografia. Il volume Einaudi Stile Libero Extra è del 2023.
Qui alcuni estratti dell’introduzione dell’autrice dallo stesso volume.
La stampa non fa che ripeterlo: c’è un’emergenza nella nostra società (…) nessuno vuole più lavorare.
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Come e quando il lavoro è diventato l’attività centrale della nostra vita?
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Negli anni Ottanta (…) il lavoro cambia pelle e assume un ruolo nuovo nella società complici i mass media e l’industria cinematografica. La distanza rispetto agli anni Sessanta e Settanta è siderale. Il lavoro salariato non è più una forma di schiavitù (…) è un’aspirazione, un’ambizione (…), uno strumento di emancipazione sociale capace di portare autostima, prestigio e riconoscimento
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Negli anni Sessanta e Settanta i sogni assumevano ancora una dimensione collettiva. Un’intera generazione ha desiderato abolire il lavoro e la proprietà privata, sconfiggere la diseguaglianza e le gerarchie sociali. (…) Sulla soglia degli anni Ottanta queste grandi visioni collettive hanno lasciato spazio a un’epoca di riflusso. (…) In quella nuova fase storica, i sogni erano diventati individuali. Era finalmente possibile abbandonare gli armamentari ideologici del secolo scorso, diceva la politica, e celebrare la morte del concetto di classe. “La guerra di classe è finita e siamo tutti classe media”, annunciava Tony Blair.
In questa nuova era di libertà, ciascuno poteva diventare ciò che voleva. “Tutti possono farcela”, se solo mettono a frutto il talento e investono nei propri sogni e nelle proprie passioni. La giustizia sociale non era più garantita dalla capacità retributiva dello Stato, ma da quella di dimostrare sul mercato il proprio valore.
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Il lavoro salariato non era più una forma quotidiana di violenza, come si diceva negli anni Settanta, né era ciò che rende la vita “orrenda”, come sosteneva lo scrittore Charles Bukowski. Era lo strumento di cui servirsi per inseguire un progetto romantico di libertà.
Fare ciò che si ama era il fine stesso della vita (…) “ama il tuo lavoro e non lavorerai mai un solo giorno della tua vita”.
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(Dobbiamo) chiederci perché, ad un certo punto, la classe precaria sia diventata fedele alle aziende. DI fatto, nella fase emergente del capitalismo industriale, tutta questa dedizione al lavoro non c’era. C’erano anzi dimissioni volontarie, fughe, assenteismo e scioperi nelle fabbriche. (…) All’inizio del secolo scorso le aziende si sono date da fare per modificare i rapporti di lavoro attraverso una serie di politiche volte a rafforzare il legame tra lavoratori e impresa.
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In generale gli studiosi concordano sul fatto che il cambiamento nelle politiche del lavoro e nelle condizioni salariali e di tutela sia stato la ragione per cui le dimissioni volontarie hanno avuto cali sostanziali nel corso del Novecento.
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Negli ultimi decenni, tuttavia, le tutele e le forme di retribuzione che avevano consentito di “fidelizzare” la manodopera, sono state via via smantellate, facendo sì che fossero messi in discussione i cardini stessi della stabilità occupazionale tipica del secolo scorso.