Proseguo l’estrapolazione di frasi e concetti tratti dal primo capitolo del volume di Francesca Coin, Le grandi dimissioni di cui parliamo qui nella nostra mini bibliografia. Il volume Einaudi Stile Libero Extra è del 2023.
La parte precedente dell’estrapolazione del capitolo è qui.
Qui invece alcuni estratti dell’introduzione dell’autrice dallo stesso volume.
Negli anni Settanta e Ottanta la crisi dell’epoca fordista pone fine al regime salariale fondato sulla grande fabbrica e apre a un’economia terziarizzata basata su rapporti di lavoro individuali e precari, nei quali la fedeltà diventa unilaterale: i dipendenti devono dimostrare devozione al lavoro, mentre le aziende possono assumerli per licenziarli quando vogliono, in una relazione usa e getta fondata, in maniera strutturale sull’infedeltà.
Già nel 1993 Francis Marion Webster – in un articolo che trovate qua – sosteneva che la fedeltà fosse un concetto che apparteneva al passato. (…) “La fedeltà dovrebbe essere una strada a doppio senso. (…) Fino a poco tempo fa si pensava che il lavoro duro e la fedeltà avrebbero comportato premi, promozioni, e che l’azienda si sarebbe presa cura dei lavoratori fino alla pensione. Era un’aspettativa ragionevole. Il dipendente si prendeva cura dell’azienda e l’azienda si prendeva cura del dipendente”.
(…)
Inevitabile infedeltà
Negli anni Novanta (… avviene) un mutamento strutturale. (…) con un forte impatto sui lavoratori e causò una condizione di insicurezza scandita dalla costante crescita della precarietà. In soli due decenni era cambiato tutto: non c’era più il lavoro “a vita”, e chi perdeva il lavoro non riusciva facilmente a reinserirsi nel mercato. (…) una crescita continua del carico di lavoro e salari sempre più bassi.
Era iniziata l’epoca della produzione snella (…) modelli gestionali che si proponevano di ripensare l’organizzazione del lavoro alla luce del criterio, ormai universale, del working longer for less, suggerendo di diminuire il personale, i salari, le scorte di magazzino e gli sprechi di tempo (…) con l’imperativo di fare “di più con meno risorse”.
(…)
L’obiettivo di pieno impiego abbandonato (…) il graduale smantellamento dei diritti conquistati (…) un insieme disomogeneo di condizioni e forme contrattuali per le quali l’idea stessa di lavoro tutelato è un’eccezione. Oggi la precarietà è la norma. Le aziende, tuttavia, si aspettano ancora che i lavoratori siano fedeli senza ricevere niente in cambio.
Pretese impossibili
Nel suo libro del 2017 The end of loyalty, Rick Wartzman sostiene che aspettarsi lealtà dai lavoratori ormai non è possibile, per il semplice fatto che le condizioni (…) non esistono più. Per Wartzman, le aziende non sono leali con i propri dipendenti, data la progressiva abolizione di tutti i diritti che erano stati conquistati. Se all’inizio del secolo scorso erano proprio le esigenze legate agli investimenti tecnologici a rendere indispensabile un’elevata fidelizzazione della manodopera, al principio di questo secolo vediamo emergere la tendenza delle imprese a usare le tecnologie per servirsi di un lavoro dequalificato con modalità usa e getta. L’elevato turnover è, in altre parole, strutturale, espressione di un mercato pensato per consentire di assumere e dismettere manodopera a seconda delle esigenze, attraendo lavoratori all’occorrenza per lasciarli a casa appena possibile.
Per lungo tempo le aziende hanno pensato di essere le uniche in grado di gestire le condizioni di questo processo (…) un bel giorno (la cosa) è diventata reciproca, e le persone hanno cominciato ad andarsene: se all’azienda non importa del benessere di chi lavora, a chi lavora non importa più nulla dell’azienda.