Pubblico alcuni significativi estratti del secondo capitolo del libro di Andrea Colamedici e Maura Gancitano “Ma chi me lo fa fare”.
Qui una sintesi della loro introduzione al volume. Qui alcuni estratti del primo capitolo.
A questo link alcuni estratti sempre dal secondo capitolo che precedono la parte qui pubblicata.
Il lavoro all’assalto del sonno
(Ma) la creatività e l’estro hanno bisogno di spazi vuoti per manifestarsi.
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La noia è un ingrediente essenziale del processo creativo, è quel momento in cui il tempo può dilatarsi e si può fare l’esperienza del vuoto, senza cadere nell’intrattenimento superficiale. Serve a far spazio all’attenzione contemplativa, che è molto diversa dallo stato di iperattenzione in cui viviamo oggi, che ci illude di essere attivi ma che ci svuota e ci tiene in una condizione di stanchezza cronica, sempre prossimi al burnout. Abbiamo sviluppato una tolleranza minima per la noia, che vediamo come qualcosa da combattere, come un freno, e invece è essenziale al nostro cervello.
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Il fatto di essere altrove (sui social, per esempio) mentre si è al lavoro, non libera affatto dal lavoro, ma risucchia le poche energie residue.
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Nel 2017, Il Ceo di Netflix (ha dichiarato) (…) “Il nostro competitor è in sostanza il sonno (…). E stiamo vincendo noi”.
Come scrive il critico d’arte e saggista Jonathan Cray in 24/7, Il capitalismo all’assalto del sonno (…) (…) Il sonno è l’ultimo argine a un mercato senza soste: dormire significa non consumare. (…) Significa non lasciarsi sottrarre la risorsa più importante a nostra disposizione: il tempo e quindi la nostra attenzione.
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Dormire è – e sarà sempre più – un atto di resistenza all’obbligo del profitto. Dormiamo sempre meno, e lo facciamo con sempre maggior senso di colpa. (…) In una logica lavorista, non siamo così felici di doverci riposare. Chi dome non piglia pesci: quindi è un perdente. Chi vince per questa società malata è chi, al contrario resta sveglio (a lavorare, a consumare, a recuperare serie tv, meme, social wave) il più a lungo possibile.
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Ritardare il sonno
C’è chi a letto sceglie di andarci il più tardi possibile per vendicarsi dei ritmi di lavoro quotidiani, praticando quella che è stata definita revenge bedtime procrastination. (…) è uno strano concetto di vendetta, giacché a subirne le conseguenze negative è il proprio corpo.
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Un lavoratore cinese (…) nel 2018 definì il suo comportamento come un vero e proprio “atto di ribellione”. Durante tutto l’orario di lavoro il suo tempo apparteneva a qualcun altro, e solo quando rientrava a casa finalmente “tornava a se stesso”. Per rispetto nei propri confronti non poteva, a quel punto, andare immediatamente a dormire, e così aveva scelto di restare sveglio quanto pi a lungo riusciva.
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Se nell’Ottocento i padroni si accorsero di dover concedere ai lavoratori un po’ di riposo (…) oggi questa sosta appare ingiustificata: riposarsi in un mercato globalizzato e incessante è troppo costoso.
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Le persone lavorano sempre di più. Nel vendere il proprio lavoro nel libero mercato hanno dovuto imparare a conformarsi al ritmo si un mondo macchina che si muove molto più velocemente (…) di quanto sia umanamente possibile.
Il burnout
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il burnout è la sindrome derivante da uno stress cronico in ambito lavorativo che non riesce ad essere ben gestito. È la sensazione di non farcela.
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Il lavoro, in teoria, dovrebbe essere un trasformatore positivo di energie: ciò che vi si immette (desideri, tempo, fatica), dovrebbe essere inferiore a ciò che torna )economie, status, soddisfazione personale)
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Vivere continuamente stress e tensioni oggi è considerato ovvio, banale, scontato. Non riusciamo neanche ad immaginare di lavorare o studiare senza ansie o preoccupazioni. Ma se bassi e rari livelli di tensione possono essere talvolta sopportabili (e perfino necessari) (…) la soglia di stress ce giudichiamo accettabile sta crescendo inesorabilmente.
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https://www.nytimes.com/2019/06/03/opinion/burnout-stress.htmlNel giugno 2019 sulle pagine del New York Times, lo psichiatra americano Richard A. Friedman ha scritto (…): “Se quasi tutti soffrono di burnout, il concetto perde di ogni credibilità”. (…) I casi di burnout reali sono in realtà rarissimi: tutto il resto è semplice “stress e disagio quotidiano”.
Il problema di questa prospettiva, però, è che il burnout così sembra essere solo una questione personale, che magari tocca soggetti deboli che non riescono a fare i conti con la vita adulta. Il burnout, al contrario, è principalmente un problema sistemico globale, innescato da altri problemi sistemici presenti all’interno delle aziende.
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Se uno spazio è inquinato, la colpa della malattia non può essere del malato. Allo stesso modo, se il mondo del lavoro (quindi tutto il mondo, perché oggi tutto è lavoro, intrattenimento incluso, come abbiamo visto), è inquinato, non si può colpevolizzare chi non regge la tensione e lo stress.