Ma chi me lo fa fare 6 – Il tempo del lavoro

Tempo e lavoro

Continuo a pubblicare alcuni significativi estratti del terzo capitolo del libro di Andrea Colamedici e Maura Gancitano “Ma chi me lo fa fare”.

Qui la parte precedente.

Una sintesi della loro introduzione al volume.

Alcuni estratti del primo capitolo.

Alcuni estratti del secondo capitolo.

Tempo e lavoro

Negli anni Sessanta Edward Thompson cercò di capire come, quando e perché la cultura preindustriale fosse diventata capitalistica.

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In particolare, pensava che la cultura del capitalismo industriale fosse innanzitutto una cultura del tempo.

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Come sosteneva Michel Foucault in Sorvegliare e punire, il tempo è una dimensione strategica che ha formato e modellato dei corpi docili.

Il disciplinamento del tempo è essenziale per avere il controllo delle logiche di produzione e aumentarne l’efficienza.

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È il tempo del lavoro a doversi adattare alle esigenze del mercato, e non il contrario. Oggi il tempo della vita è determinato da quello del lavoro.

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Siamo sempre più spinti a riflettere su come impieghiamo il nostro tempo. (…) Sprecarlo è un vero peccato (da notare il tono religioso del termine).

L’orologio e la percezione del tempo

Si dice che siano stati i mercanti già nel Trecento a diffondere la visione del tempo lineare come qualcosa di cui fare buon uso, finanziando la costruzione di torri dell’orologio nelle città europee e tenendo dei teschi umani sulle proprie scrivanie per ricordarsi della morte.

Con la fine del Cinquecento la maggior parte delle parrocchie possedeva un orologio che nel campanile scandiva le ore.

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Tra la fine del Seicento e l’inizio dell’Ottocento (…) l’orologio era un segno di benessere economico.

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L’orologio era un simbolo, a fronte di una cultura secolare che in precedenza non aveva celebrato affatto la disciplina, ma il gusto di disperdere il tempo. Quando i lavoratori ricevevano una paga alta, spesso infatti non si presentavano a lavorare il girono dopo, ma andavano in birreria o a giocare ai birilli, e tornavano a lavorare una volta finiti i soldi.

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Del resto, il lavoro agricolo era faticoso, ma non costante nel corso dell’anno; dunque, a giornate di grande fatica ne corrispondevano molte di riposo o comunque più leggere.

Secondo l’antropologo David Graeber, si lavorava dall’alba al tramonto per venti o trenta giorni all’anno non consecutivi; il lavoro normale era di qualche ora al giorno, e non si lavorava durante le frequenti festività. E, soprattutto, i lavoratori venivano raramente sorvegliati.

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Un altro tempo

Il tempo del lavoro non era omogeneo, ossessivo, ripetitivo. (…) In realtà, fino a tempi piuttosto recenti.

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Henri Lefebvre a questo proposito ha distinto il tempo ciclico, quello delle occupazioni stagionali dell’agricoltura, e il tempo lineare, della vita urbana e industriale.

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La nuova disciplina del tempo beneficiò quindi delle innovazioni tecnologiche, della divisione del lavoro, ma anche di orologi, campane, sorveglianza della manodopera, prediche religiose, soppressione delle feste popolari. Nell’Ottocento si diffuse una vera e propria opera di propaganda sul risparmio del tempo (…), il tempo era diventato merce.

Progressivamente questa idea si è estesa anche al tempo libero.

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Nel 1967 Thompson chiudeva il suo saggio chiedendosi se le persone, ormai arricchite e libere dalla necessità della sussistenza, avrebbero perso il senso di urgenza eterodiretto verso le cose da fare, e come avrebbero impiegato il nuovo tempo libero.

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L’ozio è un furto

Essere il tuo datore di lavoro significa aver comprato il tuo tempo, quindi voglio vederti sempre all’opra, anche quando non c’è effettivamente niente da fare.

È mio diritto sorvegliarti o farti sorvegliare, perché non mi fido.

Scoprirti a non fare niente mi fa letteralmente sentire derubato dei soldi che ho speso per comprare il tuo tempo. L’ozio in altre parole è un furto.

Come sottolineava il classicista Moses Finley, non è sempre stato così. (…) Il tempo era un’astrazione, non una merce.

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L’uso di cartellini da timbrare e orari rigidi da rispettare ha rappresentato un cambiamento sia tecnologico che morale.

Secondo Graeber, l’idea stessa di tempo libero nasce dalla convinzione che il tempo del lavoro sia stato venduto ad un acquirente.

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Un concetto che oggi ci sembra normale, ma che fino a qualche generazione fa, sarebbe stato incomprensibile.